ANNO XII - &MAGAZINE - 

Truffa Ponzi: 2139 Exchange oscurato da Consob, sottratti milioni agli investitori

La Consob ha disposto il blocco di 2139 Exchange, una piattaforma di trading online che, secondo le ricostruzioni, ha sottratto oltre 27 milioni di dollari agli investitori attraverso un classico schema Ponzi. L'exchange, che operava attraverso diversi siti web, ha attratto centinaia di migliaia di utenti in tutto il mondo, inclusi decine di migliaia solo in Italia.

L'azione della Consob, comunicata il 25 settembre, rientra nel quadro delle misure atte a proteggere i risparmiatori italiani da frodi finanziarie. L’ente di vigilanza ha oscurato non solo 2139 Exchange, ma anche altre piattaforme fraudolente simili, tutte non autorizzate a operare nel mercato italiano. Tra queste, sono stati chiusi i portali di Bitmatic, Xmtoro.com e Cyber Capital, portando a 1140 il numero di siti bloccati dal 2019.

Come operava l'exchange 2139

2139 Exchange ha utilizzato un modello classico di truffa Ponzi: prometteva rendimenti molto superiori a quelli di mercato in tempi brevissimi, convincendo così migliaia di persone a investire i propri risparmi. In un primo momento, gli investitori potevano effettivamente vedere piccoli profitti, creando l'illusione di un sistema finanziario legittimo. Tuttavia, come accade spesso in questi schemi, i fondi sono rapidamente scomparsi e la piattaforma ha bloccato i conti degli utenti.

Gli investitori, circa 200mila tra Europa e Medio Oriente, hanno cominciato a notare problemi già dal 20 settembre, quando la piattaforma ha smesso di funzionare e sono comparsi messaggi di scuse generici. Molti di loro non hanno più potuto accedere ai fondi, e nel frattempo i creatori della truffa hanno fatto perdere le proprie tracce.

Le indagini e la collaborazione con Binance

Le autorità, grazie alla collaborazione di esperti e siti di debunking, sono riuscite a tracciare alcuni dei flussi di denaro sottratti, rilevando che una parte dei fondi potrebbe essere passata attraverso Binance, una delle piattaforme di scambio crypto regolamentate dalla Consob. Questo dettaglio è particolarmente importante, poiché Binance potrebbe essere obbligata a collaborare con le autorità per identificare i responsabili e congelare eventuali fondi ancora disponibili prima che vengano definitivamente occultati.

Rischi ulteriori per gli utenti truffati

La truffa di 2139 Exchange non si limita solo alla sottrazione dei capitali investiti. Vi è infatti il rischio, altrettanto grave, che i dati personali forniti dagli utenti al momento della registrazione siano stati rubati. Il furto di dati è una pratica diffusa nelle frodi online e i dati personali degli investitori potrebbero essere utilizzati per creare falsi profili o addirittura rivenduti sul dark web.

L'esposizione a questo tipo di rischio potrebbe avere conseguenze molto gravi per gli investitori: non solo potrebbero essere vittime di ulteriori frodi, ma i loro dati potrebbero essere utilizzati per commettere crimini sotto falsa identità.

Cosa fare per proteggersi

Gli esperti raccomandano ai risparmiatori colpiti di denunciare immediatamente il possibile furto di identità alle autorità competenti. Presentare una denuncia preventiva può proteggere gli investitori dal rischio di essere coinvolti in attività criminali effettuate da truffatori che utilizzano i loro dati.

Il caso di 2139 Exchange serve da monito per i risparmiatori: promesse di guadagni elevati e facili sono quasi sempre un segnale di truffa. È fondamentale fare attenzione e affidarsi solo a operatori autorizzati e regolamentati per evitare di cadere in frodi finanziarie che possono portare alla perdita totale dei risparmi.


Titoli illiquidi: lo Studio Spinapolice & Partners pronto ad azioni collettive contro Banca Sant'Angelo

La Banca Sant'Angelo è stata condannata a risarcire due investitori che avevano effettuato investimenti in titoli "illiquidi". La decisione è stata presa lo scorso 8 luglio dalla quinta sezione del Tribunale di Palermo, che ha imposto all'istituto bancario la restituzione integrale delle somme perse dai due coniugi, inclusi gli interessi legali maturati nel frattempo, a seguito di investimenti in azioni illiquide, ovvero titoli che non possono essere facilmente rivenduti come avviene per quelli quotati in borsa.

L'investimento in questione era stato fortemente consigliato dalla banca a partire dal 2013, senza che i risparmiatori fossero stati correttamente informati dei rischi significativi associati a questo tipo di strumenti finanziari. Le azioni illiquide, infatti, comportano il rischio di perdita dell'intero capitale investito, principalmente a causa delle difficoltà nel loro smobilizzo, ovvero nella possibilità di convertirle rapidamente in denaro.

A tal proposito, l'Avv. Giovanni Spinapolice, Founding Partner dello Studio Spinapolice & Partners, ha dichiarato: "La sentenza rappresenta un importante precedente per tutti quegli investitori che si sono trovati nella medesima situazione. Siamo pronti a predisporre azioni collettive al fine di ottenere il risarcimento dei danni per coloro che, a causa di consulenze bancarie inadeguate, hanno subito perdite ingenti. Il nostro studio sta già raccogliendo adesioni per procedere in tal senso".

L'avvocato Spinapolice ha inoltre sottolineato come sia fondamentale, in questi casi, che gli istituti bancari rispettino gli obblighi informativi nei confronti dei clienti, soprattutto quando si tratta di investimenti ad alto rischio. "Le banche devono garantire la trasparenza e l’adeguatezza delle informazioni fornite ai risparmiatori, specialmente quando si tratta di prodotti finanziari complessi e non facilmente liquidabili", ha aggiunto.

Il caso della Banca Sant'Angelo potrebbe dunque aprire la strada a ulteriori richieste di risarcimento da parte di altri investitori che si trovano in situazioni analoghe, portando a nuove azioni legali collettive contro istituti bancari che non rispettano i propri doveri di trasparenza.


Banca Popolare di Bari condannata: oltre 170mila euro di risarcimento per la vendita di azioni illiquide.

Il Tribunale di Bari ha emesso una sentenza storica contro l'ex Banca Popolare di Bari, ora divenuta Banca del Mezzogiorno (BdM), condannandola a risarcire due risparmiatrici per un ammontare di oltre 170.000 euro. Le due donne, madre e figlia, avevano acquistato azioni della banca, che si sono rivelate illiquide, comportando per loro una significativa perdita di valore del capitale investito.

Le responsabilità della banca e l'inadempimento.

La sentenza del Tribunale di Bari ha messo in luce le gravi responsabilità della Banca Popolare di Bari. Secondo i giudici, la banca ha agito in modo inadeguato vendendo le sue azioni, caratterizzate da un alto grado di illiquidità, senza fornire una completa informazione sul rischio legato a questo tipo di investimento. In particolare, la banca avrebbe prospettato alle due risparmiatrici un rischio di perdita parziale, prossimo alla metà del capitale, senza avvertirle del possibile azzeramento completo del valore delle azioni, che si è poi verificato.

Il grave inadempimento della banca è stato dunque alla base della decisione di risolvere i contratti di acquisto delle azioni. Questo tipo di inadempimento è stato giudicato particolarmente rilevante in quanto contrario agli obiettivi di investimento che le due risparmiatrici avevano dichiarato, confermando l’inadeguatezza del prodotto venduto.

Il contesto delle azioni illiquide.

La vicenda della Banca Popolare di Bari è solo uno dei numerosi casi in Italia in cui le banche hanno venduto ai clienti azioni illiquide, titoli difficili da rivendere sul mercato secondario. Queste azioni, emesse spesso da banche cooperative o popolari, sono state offerte ai piccoli risparmiatori senza una chiara spiegazione dei rischi associati. Negli anni successivi alla crisi finanziaria del 2008 e, più recentemente, con la crisi del sistema bancario italiano, molti risparmiatori si sono trovati in difficoltà a recuperare i loro investimenti, subendo perdite ingenti​.

La sentenza del Tribunale di Bari potrebbe costituire un precedente importante per altre cause simili, aprendo la strada a ulteriori risarcimenti per i risparmiatori che hanno subito perdite a causa della vendita di azioni illiquide.


L'onere della prova nei rapporti bancari: il correntista deve richiedere la documentazione prima di agire in giudizio.

Una recente sentenza del Tribunale di Grosseto (n. 728 del 4 settembre 2024) ha ribadito un principio fondamentale in merito all'onere della prova nei giudizi contro le banche. Il correntista o il mutuatario che intende contestare la legittimità di determinate clausole contrattuali o addebiti su conto corrente deve prima di tutto farsi carico di richiedere diligentemente la documentazione necessaria, come il contratto e gli estratti conto, prima di procedere con l’azione giudiziale.

La distribuzione dell'onere della prova.

Come stabilito dall’articolo 2697 del codice civile, spetta alla parte attrice fornire la prova non solo dell’avvenuto pagamento, ma anche della mancanza di causa giuridica che giustifica l’addebito. In questo contesto, il correntista che ritiene illegittimi determinati addebiti (ad esempio per interessi usurari, commissioni non dovute o clausole contrattuali imposte dalla banca) deve necessariamente produrre in giudizio il contratto di conto corrente e tutti gli estratti conto periodici relativi al rapporto bancario contestato​. 

Il diritto del correntista alla documentazione.

Il cliente bancario ha diritto, ai sensi dell'art. 119 del Testo Unico Bancario (TUB), di richiedere alla banca copia della documentazione relativa alle operazioni effettuate negli ultimi dieci anni, e non più solo cinque. Questo diritto include la possibilità di ottenere, entro novanta giorni, copia delle singole operazioni eseguite nel conto corrente. La richiesta può essere fatta anche prima di un’eventuale azione giudiziale, e il mancato ottenimento della documentazione può essere contestato in sede legale. Tuttavia, è fondamentale che il cliente si attivi in tempo per ottenere i documenti prima di avviare qualsiasi azione​.

La sentenza del Tribunale di Grosseto.

Nel caso specifico esaminato dal Tribunale di Grosseto, la parte attrice aveva avviato un'azione legale senza avere prima ottenuto tutta la documentazione necessaria dalla banca. L'azione, incentrata sulla ripetizione di indebito, è stata respinta perché non accompagnata da prove sufficienti, tra cui il contratto di conto corrente e gli estratti conto completi. Il giudice ha ribadito che il cliente-attore deve dimostrare di aver cercato di ottenere la documentazione ex art. 119 TUB, e solo in caso di mancata risposta da parte della banca può ricorrere al giudice per ottenere tali documenti​.

 

L'importanza della diligenza del cliente.

Questa decisione sottolinea l’importanza per i clienti bancari di agire con diligenza nel richiedere e conservare i documenti necessari. In assenza della documentazione completa, la richiesta di consulenza tecnica d'ufficio (CTU) non può essere accolta, poiché la prova della legittimità o illegittimità di determinati addebiti deve essere fornita dalla parte attrice attraverso la produzione di documenti specifici.

Conclusioni

In materia di controversie bancarie, è essenziale che i correntisti si attivino per ottenere la documentazione necessaria prima di avviare azioni giudiziali. La recente sentenza del Tribunale di Grosseto chiarisce che, in assenza di tali documenti, il rischio di vedersi rigettare la domanda è elevato, con la conseguente impossibilità di dimostrare l’illegittimità degli addebiti contestati​.


Regno Unito: un nuovo disegno di legge per definire lo status giuridico delle criptovalute.

Il governo del Regno Unito ha presentato un disegno di legge innovativo al Parlamento, volto a chiarire lo status giuridico delle criptovalute e delle risorse digitali, come i token non fungibili (NFT) e le attività tokenizzate del mondo reale (RWA). Questo intervento legislativo ha l'obiettivo di riconoscere le criptovalute come proprietà personale secondo la legge britannica, fornendo una base giuridica più solida per risolvere controversie e proteggere i possessori da frodi e truffe​.

Una nuova categoria di proprietà per asset digitali.

La proposta introduce una nuova categoria di proprietà che si aggiunge alle tradizionali "cose in possesso" (come denaro o auto) e "cose in azione" (come debiti o azioni). Questa nuova classificazione garantirà una maggiore protezione legale per gli asset digitali, facilitando la gestione dei diritti di proprietà in casi legali come divorzi o controversie commerciali.

Secondo il ministro della Giustizia, Heidi Alexander, questa nuova categoria aiuterà a fornire chiarezza e sicurezza per chi possiede criptovalute o altri asset digitali. La proposta arriva in risposta a un crescente bisogno di regole più specifiche in un mercato che, sebbene giovane, ha già attratto miliardi di dollari in investimenti e presenta notevoli rischi di frode​.

La raccomandazione della Law Commission.

La Law Commission, un organismo consultivo britannico, ha contribuito alla formulazione della bozza di legge, sostenendo la necessità di riconoscere le criptovalute come proprietà personale. In un rapporto pubblicato all'inizio del 2023, la Commissione ha osservato che molte risorse digitali non rientrano nelle categorie esistenti di proprietà ma devono comunque poter essere oggetto di diritti di proprietà personali. Questo cambiamento è fondamentale per adattare il quadro giuridico alle nuove tecnologie e alle sfide del mercato digitale.

Difficoltà nel settore delle criptovalute: il ruolo della FCA.

Parallelamente, la Financial Conduct Authority (FCA), l'autorità di regolamentazione finanziaria del Regno Unito, ha registrato un tasso di approvazione estremamente basso per le società di criptovalute che cercano di ottenere la licenza antiriciclaggio. Solo il 13% delle domande presentate nell'ultimo anno è stato approvato, con molte società che hanno abbandonato il mercato britannico a causa di normative troppo rigide o processi di approvazione considerati poco trasparenti. Questo ha spinto aziende come Bybit e PayPal a ridurre o eliminare alcuni servizi nel Regno Unito.  Delle 35 domande ricevute nel periodo tra aprile 2022 e marzo 2023, solo quattro società hanno ottenuto la licenza, tra cui BNXA (partner di pagamenti di Binance) e una divisione di PayPal. Le altre aziende sono state costrette a ritirarsi o a cercare mercati più accoglienti all'estero, dove le normative sono meno severe.

Nuove regole per la pubblicità e il marketing delle criptovalute

La FCA ha recentemente introdotto nuove regole che regolamentano la promozione di prodotti e servizi legati alle criptovalute. Queste misure includono l'obbligo di inserire avvisi chiari sui rischi, di eliminare incentivi promozionali come i bonus "invita un amico" e di offrire un periodo di riflessione di 24 ore per i nuovi investitori. Inoltre, le aziende devono assicurarsi che i loro clienti abbiano le conoscenze necessarie per investire nel settore, pena sanzioni che possono arrivare fino a due anni di carcere​.

Impatto sulle aziende di criptovalute

Le nuove normative e il difficile processo di approvazione hanno già avuto un impatto significativo sul mercato britannico delle criptovalute. Diverse aziende hanno iniziato a ridurre i loro servizi, con alcune, come Luno, che hanno limitato l'accesso a certi prodotti crittografici per i loro clienti. Queste azioni evidenziano il delicato equilibrio tra la protezione dei consumatori e l'attrattiva del Regno Unito come centro per le attività legate alle criptovalute​.

Conclusioni

Il disegno di legge del Regno Unito rappresenta un passo cruciale per fornire un quadro legale chiaro e solido per le criptovalute e altri asset digitali. Tuttavia, le sfide regolamentari e il rigido regime di approvazione della FCA stanno già provocando un'esodo di aziende del settore. Resta da vedere se il Regno Unito riuscirà a trovare un equilibrio tra protezione dei consumatori e attrattività del mercato delle criptovalute, garantendo al contempo trasparenza e sicurezza.


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