ANNO XII - &MAGAZINE - 

Contratti Derivati: Davide batte Golia

Dopo il Tribunale, anche la Corte d’Appello ha riconosciuto la nullità di un contratto swap stipulato con un albergatore nel 2007, confermando la decisione di primo grado che condanna l’istituto a versare circa 90mila euro all’imprenditore.

Doppia vittoria di Davide contro Golia. Una struttura alberghiera isolana ha visto riconosciute anche in appello le proprie ragioni nei confronti dell’ex Banco di Napoli (ora assorbita nel gruppo Intesa Sanpaolo)

Il contratto in derivati è denominato “interest rate swap”. In generale, gli swap sono contratti a termine che prevedono lo scambio a termine di flussi di cassa, calcolati con modalità stabilite alla stipulazione del contratto.

Questo sistema può permettere di annullare il rischio connesso per esempio alle fluttuazioni dei tassi di interesse o di cambio.

Tra questi contratti, l’Interest Rate Swap è il contratto swap più diffuso, con il quale due parti si accordano per scambiarsi reciprocamente, per un periodo di tempo predefinito al momento della stipula, pagamenti calcolati sulla base di tassi di interesse differenti e predefiniti.

Non c’è scambio di capitali, ma solo di flussi corrispondenti al differenziale fra i due interessi (di solito uno fisso ed uno variabile). Un’impresa può essere interessata a tale contratto per eliminare l’incertezza di un debito contratto a tassi variabili.

L’azienda che stipula un Interest Rate Swap preferisce avere la certezza di quanto dovrà pagare, per motivi di politica aziendale oppure perché ipotizza un rialzo dei tassi.

Lo scopo della banca è invece quello di incrementare i propri profitti: ne ottiene infatti subito un incremento derivante dalla intermediazione del prodotto derivato.

Chiusa la noiosa parentesi tecnica, va detto che nel 2018 il Tribunale aveva accolto la richiesta dell’albergatore condannando la banca alla ripetizione dei differenziali registrati in costanza di rapporto e liquidati in complessivi € 90.237,00 oltre gli interessi legali. Una somma non trascurabile dunque, ma la banca è ricorsa appunto in appello adducendo tre motivi che consistono nella “erronea declaratoria di nullità del contratto quadro inter partes, per asserita assenza della sottoscrizione del rappresentante legale della Banca (primo motivo); erronea declaratoria di nullità del contratto ex art. 1418, secondo comma, c.c. (secondo motivo); erronea declaratoria di nullità del contratto, per asserita violazione dell’art. 1322 c.c. (terzo motivo)”.

L’oggetto della controversia era un contratto “interest rate swap”, secondo i giudici d’appello la causa del contratto può essere considerata meritevole solo allorquando il rischio e l’alea che la caratterizzano siano state consapevolmente e razionalmente assunte dal contraente debole

La Terza Sezione Civile della Corte d’Appello ha ritenuto che il secondo e terzo motivo vadano rigettati finendo anche per privare il primo di ogni carattere decisivo.

Per i giudici della Corte, la funzione economico-sociale di questo strumento risulta essere meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico per la positiva funzione svolta nel mondo degli affari: consente, infatti, una maggiore liquidità nei mercati finanziari e favorisce lo sviluppo dei commerci rendendo possibile, attraverso lo schema contrattuale, gestire il rischio di interessi.

Mentre il debitore continuerà a pagare gli interessi ivi stabiliti al mutuante, la stipulazione di un contratto di swap svolgerà la funzione di neutralizzare gli effetti dell’evoluzione dei relativi tassi in base al meccanismo della regolazione fra i contraenti, ad ogni scadenza, delle differenze di segno opposto, positive o negative, sulla base dell’applicazione delle clausole contrattuali. In tal modo, il debitore continuerà a pagare gli interessi sul mutuo, ma, se il tasso previsto dallo swap risulterà essere a suo favore, riceverà importi dall’intermediario finanziario che contribuiranno a bilanciare quelli maggiormente versati al mutante quali interessi sul mutuo. Al contrario, se, in base al tasso previsto dallo swap, matureranno importi in favore dell’intermediario finanziario, il debitore, oltre a pagare i normali interessi sul mutuo, dovrà sostenere anche il pagamento di questi importi, con un ulteriore aggravio della sua situazione finanziaria.

 

Leggi anche:


Protocollo di sicurezza contro le rapine bancarie a Catanzaro.

Il sistema di contrasto che lo Stato ha opposto alla criminalità in materia di reati contro le banche ed i loro clienti regge: le rapine e gli attacchi ai dispositivi ATM delle banche calabresi sono stati praticamente azzerati.

É quanto emerso dalle dichiarazioni di Marco Iaconis, coordinatore Ossif, il centro ricerche creato dall'Abi sulla sicurezza ed il facility management, a margine della firma che nella prefettura di Catanzaro ha rinnovato il protocollo sicurezza. A siglare il patto anche il rappresentante di governo Enrico Ricci secondo cui «tutte le banche della provincia hanno aderito all'accordo che spazia tra tutti i reati contro gli istituti ed i loro clienti».

Il protocollo individua misure collaudate come videosorveglianza all’interno ed all’esterno delle banche, dei loro ATM (bancomat), misure legate alla cybersicurezza, alla formazione, al coordinamento tra banche e forze di polizia. I dati relativi alle informazioni nate dalla collaborazione Abi-forze di polizia saranno analizzate in sede di Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica di Catanzaro.

 

Leggi anche:


Non c’era alternativa per il crac Banche Marche

La sentenza della Corte UE sul crac di Banca Marche non lascia dubbi: per i giudici la Commissione europea non può essere ritenuta responsabile di averne impedito il salvataggio e di conseguenza ha confermato la sentenza del Tribunale Ue.

Quest’ultimo, nel giugno del 2021, aveva respinto il ricorso presentato dalla Fondazione della Cassa di Risparmio di Pesaro e da altre quattro banche marchigiane. Come evidenziato dal Resto del Carlino, i giudici avevano rigettato la richiesta di risarcimento dei danni provocati dalla Commissione europea nell’impedire il salvataggio della Banca delle Marche da parte del Fondo interbancario di tutela dei depositi.

Ripercorrendo le tappe della vicenda, Banca Marche è stata messa in amministrazione staordinaria nell’ottobre del 2013. I commissari hanno provato a superare la crisi con un intervento di sostegno da parte del Fondo interbancario di tutela dei depositi.

La commissione ha dunque indirizzato quattro lettere alle autorità italiane, rimarcando che tale intervento avrebbe potuto contribuire un aiuto di Stato e che sarebbe stato opportuno aprire una procedura formale per l’approvazione europea.

Il crac di Banca Marche

Vista la situazione emergenziale, Bankitalia ha avviato una procedura di risoluzione di Banca Marche. Un analogo intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi a favore di un’altra banca, la Tercas, è stato censurato dalla Commissione in quanto aiuto di stato illegale e incompatibile con il mercato interno. Ma quest’ultima decisione è stata annullata dalla Corte di Giustizia, ribadendo l’insussistenza di un aiuto di Stato. Per questo motivo le banche interessate hanno adito il tribunale Ue.

Ma questo nel giugno 2021 ha stabilito che non esiste un nesso causale “sufficientemente diretto” tra il comportamento ritenuto illecito della Commissione ed il pregiudizio dedotto dalle ricorrenti. Riassumendo, secondo i giudici, la risoluzione di Banca Marche da parte delle autorità itlaiane sarebbe stata determinata dal suo stato di dissesto.

 

Leggi anche:


Condannata ex Banca Apulia a risarcire azionista Veneto Banca

Viene riconosciuto il diritto a un risparmiatore che aveva investito importanti somme di danaro in azioni della Veneto Banca, vendute dalla ex Banca Apulia. È quanto deciso dal Tribunale di Bari che, con la sentenza n. 1362/2023 con giudice Giuseppe Marseglia, vede la banca colpevole di diverse violazioni.

Secondo il giudice e la sentenza, la banca aveva concentrato il portafoglio del risparmiatore in titoli emessi dallo stesso gruppo (azioni e obbligazioni della ex Veneto Banca), incorrendo in grave inadempimento per non aver informato sui rischi connessi. 

Il giudice ha in primis riconosciuto che a risarcire il danno deve essere la ex Banca Apulia e non la ex Veneto Banca in liquidazione coatta amministrativa. Lo stesso giudice specifica la decorrenza dei termini prescrizionali che devono essere fatti risalire dai singoli acquisti. Per questa vicenda è un esito importante perchè inchioda le responsabilità inequivocabili delle parti in giudizio. 

 

Leggi anche:


Il diamante vale la metà del prezzo pagato: la banca deve risarcire.

Il cliente della banca lo aveva acquistato per 10mila euro, per poi scoprire che vale la metà del prezzo pagato e infine la denuncia alla banca. L’istituto di credito si difende sostenendo che non aveva il ruolo di intermediario, ma per il giudice i fatti danno ragione al cliente.

Nella beffa dei diamanti venduti a prezzi gonfiati tramite diversi istituti di credito, non ci sono cascati solo grandi nomi dello spettacolo – tipo Vasco Rossi e Federica Panicucci – ma anche semplici correntisti di filiali di periferia. Com’è successo al libero professionista di Livorno che il 23 dicembre 2015 – dopo essere stato contattato da un dipendente di BPM di Livorno – ha sottoscritto un contratto d’acquisto per un diamante del valore di diecimila euro. Dopo circa tre anni lo stesso cliente ha ritirato il prezioso assistito «da un gioielliere esperto» scoprendo che alla data dell’acquisto il valore di quello stesso diamante era di 4.500 euro e che la momento in cui era stato ritirato gli veniva attribuito un valore addirittura inferiore ai 4mila euro.

Il cliente inizia una battaglia giudiziaria contro l’istituto di credito che si è conclusa la settimana scorsa con la sentenza della giudice del Tribunale civile che ha dato ragione all’ormai ex correntista condannando la banca a risarcimento del danno. Che è stato poi stimato da un consulente del tribunale in poco più di cinquemila euro, oltre alle spese processuali.

Durante il dibattimento Banco Bpm Spa patrocinato, ha sostenuto con fermezza di non aver avuto in alcun modo il ruolo di intermediario e che il reale valore del prezioso diamante non è mai stato oggetto di valutazione da parte della banca.

Si legge dagli atti processuali che la banca «sosteneva espressamente che il proprio ruolo fosse stato quello di mero tramite e/o segnalatore, totalmente estraneo al contratto di negoziazione, con conseguente inapplicabilità della normativa a tutela del consumatore. Con ciò escludendo che la banca svolgesse attività a qualunque titolo promozionale, e giustificando la percezione della commissione dal fatto che IDB (Intermarket Diamond) Business accedeva alla clientela della banca, a supporto della sua tesi difensiva parte convenuta allegava che il materiale pubblicitario consegnato all’attore recava esclusivamente il logo di IDB».

Il giudice a sua volta sottolinea in sentenza: “la vicenda si inserisce nel filone delle vendite dei cosiddetti diamanti da investimento da parte di numerosi istituti bancari ed è stata esaminata in maniera approfondita sia dall'Autorità garante della concorrenza nella decisione del 30 ottobre 2017 – con la quale gli istituti di credito coinvolti sono stati sanzionati per violazione della disciplina consumeristica sulle pratiche commerciali scorrette – che dal Tar Lazio nella sentenza del 14 novembre 2018, il quale ha respinto il ricorso avverso quella pronuncia da parte di Banco BPM.”

La motivazione
Al contrario la banca ha «indubbiamente svolto un'attività di consulenza, non diversa da quella svolta in ogni altro tipo di investimento, come risulta a titolo puramente esemplificativo dall’attività di presentazione dell’investimento, fissazione dell’incontro fra la IBM e il cliente, proposta d’acquisto e stipula del contratto all’interno dei locali commerciali della banca, svolgendo invero il ruolo di termine di riferimento del cliente, al fine di orientare le scelte di quest'ultimo.

La contraria tesi della convenuta, secondo la quale essa si sarebbe limitata a svolgere un’attività di mera segnalazione, «non è verosimile, alla luce delle elevate commissioni percepite dalla convenuta medesima, che altrimenti resterebbero prive di giustificazione». 

 

Leggi anche:


Logo &Magazine

DIRITTO ECONOMIA E CULTURA
Reg. Trib. Roma n. 144 / 05.05.2011
00186 Roma - Via del Grottino 13

logo_ansa_&magazine

Logo &Consulting

EDITRICE &CONSULTING scarl
REA: RM1297242 - IVA: 03771930710
00186 Roma - Via del Grottino 13

Perizie e Consulenze tecniche in ambito bancario e finanziario di &Consulting

logo bancheefinanza menu

WEBSITE POLICIES

Legal - Privacy - Cookie